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STORIE DI FARI
Introduzione di Annamaria "Lilla"Mariotti
Pubblico qui una storia scritta da una persona che l'ha vissuta in prima persona, da bambina e che, diventata adulta, ha voluto scrivere un omaggio a quell'uomo, suo padre, che ha compìuto un'impresa coraggiosa e molto pericolosa per quei tempi, conservando il faro di Punta Libeccio, a Marettimo, per i posteri
Come mio padre salvò il faro di Marettimo durante la 2ª guerra mondiale
di Cristina Palumbo Grandinetti
Mio padre, trascorse 20 anni nella Regia Marina, nei successivi 32 anni fu guardiano dei fari. Cominciò a riflettere sui fari dopo un lungo imbarco sulla Cristoforo Colombo, allorché allo sbarco sul molo Beverello di Napoli, vide la reazione d’un bimbetto che per la lunga assenza del genitore, non volle accettare le carezze dello stesso, perché sconosciuto alla sua mente puerile. Quello episodio fu decisivo per mio padre e giurò che non doveva mai capitare a lui una cosa del genere, se un giorno avesse messo su famiglia, la sua vita doveva svolgersi a terra. Passò, quindi, ai sommergibili della base di Taranto e dopo al Corpo delle Capitanerie di Porto. Pertanto, allo scoppio della seconda guerra mondiale si trovò a prestare servizio, col grado di nostromo, presso il comando di Trapani.
Ritengo opportuno tornare un po’ indietro nel tempo e descrivere l'inizio della sua vita militare. Il suo grande amore per il mare sbocciò all’età d’otto anni, allorchè lasciò il suo paese natio in Sila: Paterno Calabro, in provincia di Cosenza, in cui era nato il 28.12.1914. Avendo perso il padre all’età di soli tre anni durante la prima guerra mondiale per un attentato ad un treno, la sua esistenza subì una svolta determinante. Dal padre avrebbe avuto siracumente una buona guida allo studio, essendo stato questi un insegnante di latino e greco a Roma. Ma ad otto anni percepì il primo odore di salsedine a Napoli, dove dovette trasferirsi presso uno zio, generale e comandante della scuola militare “ Statela “.
Il contatto con i militari forgiò e fortificò il suo corpo e la sua psiche, sicché decise di diventare marinaio e a sedici anni fuggì per arruolarsi in Marina. S’imbarcò sulla nave scuola “ Amerigo Vespucci”, passando poi a studiare presso la scuola navale “ Morosini “ di Venezia. Della sua vita, anche pericolosa, egli ne ha fatto storia , testimoniata anche dalle foto, che noi figli da piccoli ascoltavamo in quei silenzi del faro, dove solo il vento ed i rumori della notte ci riportavano all’ordine per andare a letto convinti di essere anche noi dentro quei fantastici racconti. Inizia così la vita militare di mio padre Enrico Mario Aristogitone Palumbo Grandinetti…..
Durante il periodo della guerra, con tutte le sue vicissitudini, ho detto innanzi che prestava servizio col grado di nostromo alla Capitaneria di Porto di Trapani e subito dopo fu assegnato all’isola di Marettimo, il cui segnalamento marittimo: Punta Libeccio, era di vitale importanza per i naviganti. In occasione di questo trasferimento, conobbe mia madre, una bellissima isolana di cui si innamorò perdutamente e che sposò. Senza dubbio, i meno giovani si ricorderanno di Caterina Campo, della famiglia intesa di Iacu Cristu, in via G. Pepe (u canaluni da pilusa ai lati della ex-chiusa). Marettimo, 29 ottobre 1942 Nozze di Caterina ed Enrico Palumbo Grandinetti
Questo trasferimento quasi voluto dal destino, fu avvantaggiato dal fatto che certamente la vita non era tanto facile per il nostro protagonista, poiché proprio in quel periodo si avvicinava lo sbarco degli americani, ed essendo questi allora dichiarati nemici, i tedeschi fecero di tutto per ostacolarli. Perciò, fecero anche saltare le banchine del porto di Trapani per impedirne lo sbarco. Ma col senno del poi, con questa distruzione, anziché ostacolare, facilitarono lo sbarco dei mezzi anfibi statunitensi che trovarono tutto spianato.
Tali piani non erano condivisi da papà ed perciò in mezzo a tutto quel grande caos, chiese apposta di passare ai fari ed essendo un conoscitore del luogo non ebbe difficoltà a diventare guardiano del faro. A quel punto della guerra, mio padre ebbe l’ordine dall’Ammiraglio Manfredi di eliminare anche il faro, facendolo saltare con l’esplosivo, proprio come era stato fatto con le banchine di Trapani. Indubbiamente, il faro era un punto di riferimento molto importante e fondamentale per il nemico, ecco il motivo di tale scelta strategica militare.
In quel periodo il Comandante del Porto era un certo Di Leo, descritto da mio padre uomo capace, di grande valore e pregio. Per eseguire l’ordine, arrivarono da Trapani 250 kg di tritolo, trasportati addirittura da un mezzo privato, mettendo così a repentaglio la vita di un equipaggio formato da marinai e pescatori marettimari. Il comandante del natante in questione era zio Mario Torrente. Sbarcato tutto sotto la costa del faro, zona impervia e rischiosa, non esistendo un approdo sicuro, l’esposivo venne accuratamente collocato nelle adiacenze del faro, affinché nulla restasse dopo la deflagrazione.
Coraggiosamente il tenente Tarantino, allora capoposto, lasciò la postazione, tornando in paese per una strada scoscesa lunga 9 km. Capo Russo fece lo stesso con i marinai ai suoi ordini, intuendo il grave pericolo di vita che correvano.
Rimasero mio padre e l’artificiere. Questi disse a mio padre : “ Capo, io non me la sento, perché la miccia è troppo corta e non c’è il tempo di mettersi in salvo, moriremo tutte e due senza pietà”. Comprendendo ciò, mio padre prese una decisione definitiva cambiando tattica. Quindi entrò nel faro, prese una tronchesina che mio padre conservò gelosamente per tutta la vita (tuttora esistente), e tranciò una parte della miccia per fermare la combustione. Però bisognava fare qualcosa per non trasgredire agli ordini, altrimenti si sarebbe trattato di tradimento da corte marziale…. Allora lanciò una bomba a mano verso la zona minata lungo la scogliera. La tal cosa causò una forte esplosione che fece volare per lo spostamento d’aria i due commilitoni per un paio di metri. All’epoca, papà aveva 28 anni e pertanto i danni fisici furono limitati.
Il boato fu sentito distintamente in paese e tutti si chiesero se i due eroi fossero sopravvissuti, furono quindi accolti con grande esultanza accertato lo scampato pericolo. Il faro di Punta Libeccio, tanto conteso oggi dai marettimari, esiste per merito suo… Anni '50, al faro con i Palumbo Grandinetti al completo
La vita di mio padre cambiò un poco dopo questo episodio, ebbe parecchi problemi, ma la sua capacità di difendersi ebbe la meglio e divenne in paese l’amico di tutti. Rimase nell’isola fino a quando i figli non furono cresciuti e nacque la necessità di trasferirsi sulla terraferma per farli studiare.
Questo era mio padre, uomo di grande valore, eccezionale padre, eroico guardiano del faro, che terminò la sua carriera a Siracusa, da lui amata profondamente e dove oggi riposa. Non dimenticherò mai la luce dei suoi occhi cerulei,il giorno in cui nel porto di Siracusa entrò a vele spiegate il suo primo amore: l’Amerigo Vespucci...
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