STORIE DI FARI

                                          



IL FARO DELL'ISOLA DI CAVOLI, Sardegna

Tratto dal volume

"RACCONTI DI FARI E ALTRE STORIE DI MARE"
 Ed. Frilli 2006, ristampa 2008
 
di Annamaria “Lilla” Mariotti

 

Oggi, e siamo nel 2011, è di moda portare un certo numero di persone più o meno note su un'’isola deserta e lasciarle lì ad arrangiarsi a sopravvivere come meglio possono.  E’ un gioco ad eliminazione :  chi non ce la fa viene mandato  via e l’ultimo rimasto vince un bel gruzzolo di denaro ed una certa fama.   Questo gioco si chiama “L’'isola dei famosi”.

 

Anche il guardiano del faro viene mandato su un’isola deserta ad arrangiarsi a sopravvivere come può, spesso con la sua famiglia, e sia pure con un aiuto che arriva dall’esterno, ma ci sono dei casi in cui l'’aiuto non  può arrivare a causa delle condizioni avverse del mare, ed ecco che allora l'’uomo deve usare tutta la sua inventiva per sopravvivere.

 

Il  fatto che sto per raccontare si è verificato al faro situato sull'’isola dei Cavoli, più uno scoglio che un'’isola, situata lungo la costa Sud Orientale della Sardegna,  al di sotto di Capo Carbonara e all'’ingresso del Golfo di Cagliari, difficile da trovare persino sulle carte geografiche.  Un ortaggio selvatico che prolifera su quest’isola, una specie di cavolo dall’'odore non proprio gradevole, dà il nome a questo lembo di terra.

 

Sulla cima più alta di quest’isola si trova un faro, costruito nel 1858, una palazzina a due piani, posata su una base quadrata e sormontata da una torre a strisce bianche e nere alta 37 metri e mezzo, che però risulta a 74 metri sul livello del mare, N° 1262 dell’'elenco dei fari italiani.  Il faro era di vitale importanza per chi doveva doppiare Capo Carbonara, ma ora è disabitato e sull'’isolotto vengono portati avanti importanti studi ambientali.

 

Molti guardiani si sono succeduti nel tempo in quel faro così vicino alla terraferma, ma nello stesso tempo lontanissimo dal mondo, vivendo delle provviste che arrivavano da terra, ma anche di pesca, di pane fatto in casa e di ortaggi.   

                      

Intorno al 1930 era guardiano di quel faro un signore che faceva di cognome Carta, nessuno si ricorda più come faceva di nome, che viveva lì con la moglie ed i tre figli.  Pare che la loro vita scorresse serena, nonostante gli  inevitabili  disagi dovuti alla posizione dell'’isolotto, ma gli aiuti arrivavano regolarmente e se qualche volta tardavano a causa del mare mosso, poi tutto si aggiustava.   Ma una volta ebbero un’avventura che nessuno della famiglia ha mai scordato, al punto che una delle figlie, sposatasi in seguito con un marinaio ed andata a vivere a Genova, benché  in una città di mare, del mare non ha mai non ha mai più voluto neanche sentire parlare.

 

Un giorno, d'’inverno, il tempo si era fatto brusco, si era levato un gran vento e il mare si era alzato di libeccio con una forza mai vista.  La barca con i rifornimenti avrebbe dovuto arrivare a momenti, ma per quel giorno ed il giorno dopo non si vide, né nei giorni seguenti il tempo si aggiustò e la famiglia, a corto di provviste, cominciava a trovarsi in serie difficoltà.

 

I genitori guardavano i bambini, allora ancora piccoli, che non resistevano ai morsi della fame e, vinti dalla disperazione, uscirono nella bufera per trovare qualcosa da mangiare.  L'’isola non  offriva niente, solo macchia mediterranea, con tanti bei profumi,  ma niente di commestibile, neanche quei cavoli che di solito crescevano così rigogliosi finché, nell'anfratto di una roccia, non trovarono un gabbiano morto, sbattuto contro le pietre dalla forza del vento.  Cercarono ancora e ne trovarono altri, così i due tornarono al faro con le loro prede.   La madre li spiumò ben bene, li fece a pezzi, li condì come poteva con quelle erbe aromatiche raccolte sull’'isola e li cucinò.   Tanta era la fame della piccola famiglia che i gabbiani vennero mangiati come se fossero stati i più prelibati fagiani, ma nessuno di loro ne scordò mai più il sapore.

            

La bufera finì come era cominciata, all'’improvviso, e arrivò la barca, la gente del faro era sopravissuta, nessuno diede mai loro un premio, ma la loro storia, per una serie di strani casi, è arrivata fino ai giorni nostri perché qualcuno potesse raccontarla.      

 

Dopo quell’'evento il faro cominciò a godere di una fama sinistra, si diceva che non era un’isola fortunata, non si sa come queste cose accadano, ma le voci corrono,  si cominciò a bisbigliare e i guardiani non  ci andavano volentieri.  Passarono comunque molti anni senza che niente di strano accadesse, finché, è stato raccontato,  negli anni ’60 del 1900 vi si trovava un guardiano che viveva lì da solo. Non aveva potuto portare la famiglia perché i bambini dovevano andare a scuola e lui, forse per occupare il tempo, forse temendo il ripetersi di una qualche tempesta, si era messo ad allevare galline.  Tutto sembrava procedere bene, nonostante la fama infausta del faro, ma una notte l’'incidente era in agguato.  Il farista inciampò e cadde rovinosamente dalla scale della torre, rompendosi alcune costole e perforandosi il polmone.  Le condizioni del mare non erano buone e l’uomo comprese che gli aiuti non sarebbero arrivati in tempo, forse riuscì ad avvisare la terraferma, forse no, comunque la tempra del guardiano ebbe il sopravvento:  con grande fatica l’uomo poté raggiungere Villasimius nonostante il mare mosso, dove arrivò stremato, ma trovò un ambulanza ad accoglierlo e fu salvo.  

 

Un nuovo guardiano fu inviato a sostituirlo, e di lui si trovano solo scarne tracce su vecchi ritagli di giornale.  Forse la solitudine ha avuto la meglio, o forse il faro non voleva  più essere disturbato, sta di fatto che da quei vecchi giornali risulta che l’uomo, uscito da solo in barca, cosa che non avrebbe dovuto fare,  forse dopo aver un po' bevuto, è caduto in mare ed è annegato. Sono state fatte molte illazioni, ma si disse che abbia  posto fine alla sua vita .

In seguito a questo indicente il faro è stato automatizzato e da allora nessun guardiano ha più messo piede su quell’isola sfortunata.

 

 

 




 
 
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