FARI NEL MONDO
FARO DI ANIVA - RUSSIA ORIENTALE
di Annamaria "Lilla" Mariotti
UN FARO NUCLEARE RUSSO ABBANDONATO
La costa nord della Russia è un territorio vastissimo, migliaia di miglia di linea costiera allinterno del Circolo Polare Artico. Durante i lunghi inverni polari il giorno non esiste, tutto è avvolto nelloscurità per 24 ore, la notte polare un giorno dopo laltro, una notte lunga 100 giorni allanno.
Ma questo tratto di mare, pieno di insidie, scogli e icebergs, è sempre stata la via più breve per la navi da carico per passare dalla costa orientale a quella occidentale della Russia e viceversa. Questo viaggio avrebbe potuto essere reso abbastanza facile con luso di tutte quelle apparecchiature satellitari moderne come il GPS, Loran, Radar, ma durante lepoca sovietica le navi russe non ne erano dotate e i naufragi erano frequenti
Per fortuna ad un certo punto a questo venne posto rimedio dal partito comunista dellUnione Sovietica che decise di costruire una serie di fari per guidare le navi in sicurezza nel buio costante della notte polare, attraverso le coste deserte dellImpero Sovietico.
La costruzione delle torri è stato il primo passo, e il più semplice, ma il problema maggiore era la loro conduzione, queste strutture dovevano essere assolutamente autonome. Era impossibile per luomo vivere a quelle latitudini, lontano centinai di miglia da qualsiasi terra abitata, quindi la presenza di un guardiano del faro era fuori discussione.
Cera anche il problema dellalimentazione, fare arrivare lelettricità a quelle latitudini e in quella desolazione era un altro grosso problema. Dopo varie discussione su come far funzionare quei fari senza che dovessero essere alimentati da una fonte esterna e senza l'intervento umano, un gruppo di ingegneri sovietici e giapponesi giunsero alla conclusione che lenergia atomica era lunica fonte di alimentazione possibile per quelle strutture. La prima volta in assoluto che una simile energia veniva impiegata per questo scopo.
Alla fine dei piccoli, leggeri reattori atomici vennero prodotti in serie limitata per essere portati nei territori del Circolo Polare Artico e installati nei fari. Questi reattori potevano funzionare autonomamente per anni, senza alcuna interferenza umana. Era una specie di faro-robot che si regolava sul periodo dellanno e sulla durata della luce. Si attivava quando necessario e in più poteva inviare segnali radio alle navi per metterle in guardia dai pericoli durante il loro viaggio. Tutto questo sembra tratto da un libro di fantascienza, ma invece è tutto vero.
Dopo il crollo dellUnione Sovietica questi fari automatici non presidiati continuarono a svolgere la loro funzione per un certo tempo ma alla fine collassarono a causa delle terribili condizioni artmosferiche e sopratutto a causa dell'abbandono. Un'altra causa, anche in una zona così impervia, fu la caccia ai metalli pregiati, come il rame, effettuata dai saccheggiatori. Questi predatori non si erano fermati davanti a niente, nemmeno di fronte al segnale "Attenzione, radioattività", posto sul faro e si erano introdotti anche allinterno vandalizzando ogni cosa. Sembra impossibile ma danneggiarono anche i reattori nucleari, per cui tutte le strutture sono diventate radioattive, contaminando anche tutto il territorio circostante, magari per secoli. Sembra logico pensare che anche questi predatori siano stati colpiti dalla radioattività, ma non si sa se siano mai stati cattturati e se siano state prese delle precauzioni.
Le foto qui riprodotte si riferiscono al faro di Aniva (ìàÿê Àíèâà, in russo) - uno dei fari atomoci russi abbandonati, che si trova su uno scoglio difficilmente accessibile da terra all'estremità del Capo omonimo a sud-est dell'isola Russa di Sakalin nell'oceano Pacifico settentrionale, vicino al Giappone. In realtà questi territori insulari fino al 1945 appartenevano proprio al Giappone che nel 1939 costruì in faro di Aniva, una torre in calcestruzzo, a pianta circolare, alta 40 metri, sormontata da una lanterna cicondata da un terrazzino di servizio. La torre è verniciata a bande orizzontali bianche e nere.
All'epoca della sua costruzione il faro funzionava con un motore diesel. Al primo piano c’era la squadra responsabile per la fornitura d’energia, al secondo si trovava un magazzino destinato alle scorte alimentari e una cucina rudimentale, il terzo piano ospitava una sala comunicazioni e dal quarto al sesto piano, vi erano delle vere e proprie abitazioni per i vari guardiani, che trascorrevano qui buona parte dei loro giorni.
Dopo la conquista Sovietica di quella parte di territorio, l'isola di Sakalin e quindi anche il faro sono entrati a far parte del territorio dell'Unione Sovietica. Fu a questo punto che venne presa la decisione di passare dall'alimentazione diesel al nucleare, una decisione che avrebbe per sempre cambiato l'aspetto del faro, dove la presenza umana non era più necessaria.
Come sia stato possibile per degli uomini raggiungere e saccheggiare questo faro rimane un mistero, sicuramente è stato raggiunto via mare e i vandali hanno lavorato affrontando un grande pericolo. Non c'è limte alla miseria umana.
Adesso una grande cartello con la scritta "RADIOATTIVITA''" in grandi lettere bianche è esposto in modo da evitare lavvicinamento al faro ormai abbandonato ma, sembra impossibile, questo segnale di pericolo non riesce a fermare gli amanti del luoghi impervi e abbandonati.